Facebook non è la realtà. O forse si?

Oggi affrontiamo un argomento di psicologia dello sport: le selezioni sportive nelle squadre giovanili.

Dopo aver letto diversi articoli facciamo parlare la psicologia dello sport, la disciplina che si occupa ufficialmente di queste riflessioni. La prima cosa che mi preme sottolineare è che a 10 anni i bambini non sono cognitivamente pronti per affrontare tutte le pressioni del caso in oggetto. Soprattutto se non vengono inserite ore di preparazione alle abilità mentali. Abilità necessarie anche a sostenere le pressioni della vita sportiva. La fascia d’età dalla quale si inizia a parlare di selezione va generalmente dai 14 anni in su.

Generalmente, perché in alcune attività nelle quali la vita agonistica dell’atleta è drammaticamente ridotta le cose cambiano. La ginnastica artistica, per esempio, prevede selezioni naturali o formali già a 8-9 anni.

La seconda riflessione che voglio affrontare è la modalità di comunicazione dell’avvenuta selezione. Come tutti gli argomenti delicati e spinosi, la modalità con cui comunico una decisione può risultare l’ago della bilancia nell’accettazione della sentenza. Il segreto della modalità comunicativa idonea è mettersi nei panni altrui tenendo conto della sensibilità delle persone. E in questo caso “altrui” sono gli atleti (e in seconda battuta i genitori). Una lettera con due righe, credo sia un po’ troppo formale. Neanche il buon Steve Jobs cacciava i sui dipendenti in questo modo. E la sua era una società quotata in borsa. Direi interessi diversi.

Se la comunicazione è idonea e rispetta tutti i termini sin qui descritti le cose si possono facilmente tollerare. A patto che si identifichino le frustrazioni sportive “vissute” dal ragazzo come un abituarsi agli ostacoli della vita reale in età adulta. Questo lo dico perché, in passato, qualche genitore ha preteso per il proprio figlio la partecipazione agli allenamenti e non alle partite per non fargli sentire troppa pressione addosso.

La terza ed ultima riflessione, che poi è la chiara conseguenza delle prime due, è la risoluzione del problema. Proporre un’alternativa.

Dare una possibilità a chi non è stato inserito nella “lista speciale”. Un’alternativa che può concretizzarsi nella costruzione di un’altra squadra (magari non chiamandola A e B).

Capisco che un’alternativa prevede anche una necessità di risorse diverse. Ma ciò è troppo importante. Se non prevedo un’altra opzione rischio di tagliare le gambe ad un ragazzo di 10 anni e rischio anche che ci sia un ragazzo in più che abbandona l’attività sportiva.

Solo chi ha praticato sport, non per forza ad alti livelli, può capire l’importanza che esso ha nella costruzione della socialità, dell’autostima e dell’accettazione della sconfitta (o insuccesso).

Dott. Marco Dieci
Psicologo a Parma


Psicoterapeuta Parma

Psicologo a Parma
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